Disturbo d'ansia generalizzato

Cos’è, come si genera e come si cura

Disturbo d'ansia generalizzato

L’ansia generalizzata (DAG) è un disturbo piuttosto comune: il 12% di pazienti soffre di tale disturbo.

Cos’è l'ansia generalizzata

I criteri diagnostici per il Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) secondo il DSM-IV-TR* sono i seguenti:

Ansia e preoccupazione eccessive (attesa apprensiva), che si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno 6 mesi, a riguardo di una quantità di eventi o di attività (come prestazioni lavorative o scolastiche).

La persona ha difficoltà nel controllare la preoccupazione.

L’ansia e la preoccupazione sono associate con tre (o più) dei sei sintomi seguenti (con almeno alcuni sintomi presenti per la maggior parte dei giorni negli ultimi 6 mesi).

  • irrequietezza, o sentirsi tesi o con i nervi a fior di pelle
  • facile affaticabilità
  • difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria
  • irritabilità
  • tensione muscolare
  • alterazioni del sonno (difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno o sonno inquieto e insoddisfacente).

L’oggetto dell’ansia e della preoccupazione non è limitato alle caratteristiche di un disturbo in Asse I, per es., l’ansia o la preoccupazione non riguardano l’avere un Attacco di Panico (come nel Disturbo di Panico, Senza Agorafobia e Con Agorafobia), rimanere imbarazzati in pubblico (come nella Fobia Sociale), essere contaminati (come nel Disturbo Ossessivo-Compulsivo), essere lontani da casa o dai parenti stretti (come nel Disturbo d’Ansia di Separazione), prendere peso (come nell’Anoressia Nervosa), avere molteplici fastidi fisici (come nel Disturbo di Somatizzazione), o avere una grave malattia (come nell’Ipocondria) e l’ansia e la preoccupazione non si manifestano esclusivamente durante un Disturbo Post-traumatico da Stress.

L’ansia, la preoccupazione, o i sintomi fisici causano disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.

L’alterazione non è dovuta agli effetti fisiologici diretti di una sostanza (per es., una droga di abuso, un farmaco) o di una condizione medica generale (per es., ipertiroidismo) e non si manifesta esclusivamente durante un Disturbo dell’Umore, un Disturbo Psicotico o un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo.

(*American Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.)

Il disturbo di ansia generalizzata è caratterizzato principalmente dalla presenza del processo di rimuginio, introdotto nel campo della psicopatologia cognitiva dagli studi di Borkovec (Borkovec e Inz, 1990; Borkovec, Lyonfields, Wiser e Diehl, 1993;Borkovec, Ray e Stöber, 1998) come fenomeno mentale che si accompagna all’ansia e ne contribuisce al mantenimento e all’aggravamento. In seguito ha attratto crescente interesse ed attenzione, fino ad essere inserito come criterio diagnostico principale del disturbo d’ansia generalizzato nel DSM-IV (APA, 1994).

Il rumiginare è una condizione normale per gli esseri umani ma si verifica anche in concomitanza a diversi disturbi emotivi, la differenza sostanziale è che i pazienti affetti da disturbi d’ansia non riescono a tenere sotto controllo le preoccupazioni e continuano a rimuginarci sopra con uno scarso successo nel tentativo di ridurle.

I soggetti che soffrono di tali disturbi riferiscono di passare diversi periodi di tempo nei quali presentano ruminazioni mentali di vario genere. Il tempo trascorso a rimuginare sulle varie preoccupazioni può durare da pochi minuti a diverse ore.

Il soggetto vive le ruminazioni come altamente disturbanti e incontrollabili. Inizialmente il processo del ruminare può essere relativamente involontario, ma in seguito, come sostiene Wells (1994), il proseguimento è generato da una sorta di controllo volontario.

Come si genera?

Esempio di ricostruzione del modello cognitivo del DAG (Wells)

Esempio di ricostruzione del modello cognitivo del DAG (Wells)

Come già detto in precedenza, il contenuto delle preoccupazioni considerate “normali” e quelle che caratterizzano il disturbo è somigliante; ciò che invece diventa rilevante è il significato che il continuo preoccuparsi assume per il soggetto.

A tal proposito Wells identifica due tipi di preoccupazioni:

Tipo 1: riguardano tutti gli eventi esterni giornalieri (relazioni con le persone, questioni di lavoro, di salute ecc.) e gli eventi interni come la preoccupazione causata da sensazioni fisiche;

Tipo 2: riguardano, invece, la natura e la manifestazione dei pensieri stessi (ad es. preoccuparsi perché il rimuginio continuo ed eccessivo può portare alla pazzia); in altre parole, “rimuginare sulle proprie rimuginazioni”.

Secondo tale modello cognitivo sono le preoccupazioni di Tipo 2 che più ampiamente generano sofferenza.

Alcuni esempi di preoccupazioni di Tipo 2 sono:

..se continuo a rimuginare così posso diventare pazzo
..rimuginare è pericoloso..
..non ho più il controllo del mio rimuginare..

Lo stesso modello sostiene anche che esistono nei pazienti delle credenze latenti errate riguardo il fatto che “preoccuparsi permette di mantenere un certo stato di benessere”. In altre parole, il soggetto si preoccupa costantemente al fine di essere sempre pronto ad affrontare e a proteggersi dall’evento temuto.

Alcuni esempi di tali convinzioni disfunzionali sono:

…se mi preoccupo posso evitare che accadano cose terribili…
...se mi preoccupo di una cosa sono sempre pronto a affrontarla…

Purtroppo tali apprensioni non fanno altro che generare altra sofferenza al soggetto.

Una volta generatosi il processo di “rimuginazione sulla rimuginazione” si instaurano altri fattori che fungono da mantenimento al problema e sono i seguenti:

Le risposte comportamentali: il soggetto evita situazioni pubbliche, nuovi stimoli, programmi televisivi, notizia di cronaca, situazioni di incertezza ecc., sia per evitare che si generi il processo di preoccupazione e sia per difendersi da eventi che giudica minacciosi;

I tentativi del controllo dei pensieri: alcuni soggetti possono iniziare a rimuginare per evitare altri tipi di pensieri più spiacevoli (Borkovec e Inz, 1990). Tale strategia purtroppo può condurre a situazioni difficilmente gestibili, in cui tali pensieri continuano ad emergere e a rafforzare il disagio e la sofferenza.

I sintomi emotivi: le preoccupazioni di Tipo 1 possono condurre a un iniziale innalzamento dell’ansia e della tensione, nelle preoccupazioni di Tipo 2 l’ansia aumenta e sintomi emotivi possono venire interpretati come reali prove che convalidano e motivano le tensioni. In altre parole, il soggetto teme di perdere il controllo dei propri pensieri e l’incapacità di rilassarsi, la dissociazione che avverte sono sintomi che comprovano la perdita del controllo mentale e quindi il timore di diventare pazzo.

Come si cura l'ansia?

Nel trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo d’ansia generalizzato viene utilizzato un protocollo che prevede l’impiego delle seguenti procedure:

  • Raccogliere informazione per la ricostruzione della storia del disturbo (primi episodi in cui si è manifestato e descrizione dettagliata della condizione attuale);
  • Ricostruzione e rappresentazione dello schema di funzionamento del disturbo, a partire dall’analisi di recenti episodi nei quali la persona si è sentita preoccupata e ansiosa;
  • Formulazione di un contratto terapeutico, che contenga, in particolare, obiettivi condivisi da paziente e terapeuta e i loro rispettivi compiti (es. compiti a casa per il paziente);
  • Psicoeducazione, che consiste nel fornire al paziente informazioni relative al ruolo che hanno le credenze sulle preoccupazioni nell’insorgenza e nel mantenimento del disturbo;
  • Individuazione dei pensieri disfunzionali (es. giudizi sulle preoccupazioni) alla base del disturbo e messa in discussione di tali valutazioni;
  • Apprendimento di tecniche per la gestione dei sintomi dell’ansia;
  • Esposizione graduale ai pensieri ed agli stimoli temuti ed evitati;
  • Prevenzione delle ricadute, che consiste nell’accettazione da parte del paziente della possibilità che i sintomi potrebbero ripresentarsi e nel rinnovato ricorso agli strumenti acquisiti in terapia per fronteggiare il momento di crisi.

Bibliografia

Adrian Wells, Trattamento cognitivo dei disturbi d’ansia” Mc Graw-Hill

Fonte: www.terzocentro.it


Articolo a cura della
Dr.ssa Mariella Spilabotte
Psicologa e Psicoterapeuta a Frosinone

Dr.ssa Mariella Spilabotte

Psicologa e Psicoterapeuta a Frosinone
P.I. 2389810603
Iscritta all’Albo Professionale degli Psicologi della regione Lazio n. 6739
Laureata in Psicologia

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